
Si è molto discusso sul referendum sull’eutanasia e ieri è arrivata una notizia certa. Non è ammissibile secondo la Carte Costituzionale perché non darebbe a sufficienza peso alla tutela della vita umana, nello specifico quella delle persone più deboli e vulnerabili. C’è stata profonda delusione tra i tanti che avevano sperato in un esito diverso, considerato che in pochi mesi in Italia era stata raggiunta la quota record di 1.239.423 firme. Messa da parte la delusione (che per quella fazione è tanta), non ci si arrende. Chi si batte per il fine vita ha già dichiarato che non ha alcuna intenzione di arrendersi e che continuerà a difendere il diritto di decidere della propria esistenza.
Le dichiarazioni
Sulla bocciatura del referendum sull’eutanasia si è espresso il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni e promotore della campagna Eutanasia Legale Marco Cappato con queste parole:
Percorriamo altre strade: disobbedienza civile, ricorsi. Mi dispiace per chi dovrà sopportare ancora una condizione di sofferenza, e per la democrazia italiana. Ma otterremo l’obiettivo.
Sempre secondo Cappato:
Infliggendo sofferenza alle persone specialmente alle più vulnerabili queste non vengono affatto tutelate, anzi. Motivo per cui la battaglia andrà avanti, a costo di rischiare nuovi processi.
Della stessa opinione anche il noto teologo e filosofo Vito Mancuso che su Twitter così si pronuncia:
La bocciatura della Consulta del referendum sulla eutanasia legale non favorisce la democrazia, la libertà, i diritti umani. È un’occasione persa per la presa di consapevolezza su un tema capitale della nostra esistenza. La vita va tutelata anzitutto come vita libera.
La posizione dell’associazione Luca Cascioni
Creata nel 2002, non vuole deporre l’ascia di guerra proprio ora perché, nonostante la bocciatura, ormai si è aperto un tavolo di discussione su un tema che fino a poco tempo fa sembrava un tabù in Italia. Adesso che lo si pensa come ad un diritto per il quale si stanno mobilitando tantissimi cittadini l’associazione cos’ annuncia:
Il cammino verso la legalizzazione dell’eutanasia non si ferma. Certamente, la cancellazione dello strumento referendario da parte della Corte costituzionale renderà il cammino più lungo e tortuoso, e per molte persone ciò significherà un carico aggiuntivo di sofferenza e violenza, in un letto di ospedale o in un carcere. Ma la strada è segnata. L’Associazione Luca Coscioni non lascerà nulla di intentato, dalle disobbedienze civili ai ricorsi giudiziari, “dal corpo delle persone al cuore della politica”. Siamo grati a chi ha dato forza finora alle nostre campagne, inclusi quei cittadini che hanno sottoscritto il referendum e i tanti che ci hanno sostenuto. A loro, e a tutti i cittadini diciamo che la lotta per una nuova stagione laica e democratica non si fermerà. Per essere tutti liberi, fino alla fine. Il cammino verso la legalizzazione dell’eutanasia non si ferma. Certamente, la cancellazione dello strumento.
Se sul referendum sull’eutanasia c’è ancora strada da fare, il suicidio assistito sembra aver preso la sua posizione.
Come funziona il suicidio assistito in Italia
In Italia si parla ormai da tempo di suicidio assistito, ma che cos’è esattamente?
È l’atto del porre fine alla propria esistenza in modo consapevole attraverso l’autosomministrazione di dosi letali di farmaci da parte di un soggetto che viene appunto “assistito” da un medico (in questo caso si parla di suicidio medicalmente assistito) o da un’altra figura.
Praticamente avviene in luoghi protetti dove soggetti terzi si occupano di assistere il paziente in tutti gli aspetti correlati alla morte, come:
- il ricovero
- la preparazione dei farmaci da somministrare
- la gestione tecnica e legale post-mortem
In Italia il codice penale stabilisce che:
Sono reati sia l’eutanasia attiva (articolo 579) sia l’istigazione al suicidio o aiuto al suicidio (art 580) ma la sentenza 242/2019, relativa al noto caso del dj Fabiano Antoniani, ha stabilito che il suicidio assistito, inteso come assistenza di terzi nel porre fine alla vita di una persona malata, è legittimo in presenza di 4 condizioni: la persona che aiuta al suicidio non è punibile se il paziente è affetto da una patologia irreversibile, è costretto a patire gravi sofferenze fisiche o psichiche, ha piena capacità di prendere decisioni libere e consapevoli e se dipende da trattamenti e cure esterne per sopravvivere.